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FAMILY MANAGER. La mia proposta

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Desperate housewives? No: family manager

di Chiara di Paola, LetteraDonna

Deborah Giovanati è Vicepresidente e Assessore all’Educazione, all’Istruzione e alle Politiche sociali, della salute e della casa del Municipio 9 di Milano. Laureata in Giurisprudenza e mamma di 3 bambini, la scorsa primavera ha indirizzato al sindaco Giuseppe Sala una delibera per sostituire l’anacronistica etichetta di “casalinga” con il titolo di “family manager” in tutti i documenti che richiedono l’indicazione della professione svolta. Una piccola provocazione per dare nuova dignità a un ruolo femminile sottovalutato.

La famiglia è un’impresa…
La famiglia è come un’impresa che richiede un notevole investimento di risorse materiali, mentali ed emotive ed è caratterizzata da un elevato grado di “internalizzazione delle attività”: dalle faccende domestiche all’educazione dei figli, dall’amministrazione del budget alla risoluzione dei conflitti, fino alla pianificazione di una “vision” che guidi l’agire dei suoi membri entro un sistema di valori condivisi. 

e la donna è il suo general manager
Per ragioni economiche e tradizione culturale, in assenza di aiuti esterni (da parte di colf, badanti, baby sitter, insegnanti di sostegno, ecc), ancora oggi sono soprattutto le donne a farsi carico di tutti gli aspetti della gestione quotidiana della casa e della famiglia. Sia che lo facciano come occupazione esclusiva sia che abbiano anche un lavoro extradomestico, in casa le donne assumono un ruolo di responsabilità e leadership assimilabile a quello dell’amministratore delegato di una piccola azienda.

Gestire una casa è meglio di un master
L’Assessore Giovanati spiega come, dopo aver rinunciato alla carriera di avvocato, abbia scoperto che «fare la mamma a tempo pieno può essere più istruttivo di un master in gestione aziendale o scienze politiche: insegna a ottimizzare tempo e risorse, allena l’attitudine al multitasking e al problem solving, abitua alla gestione dello stress, migliora le capacità relazionali e stimola la solidarietà (o team working) e affina lo spirito civico (in termini di attaccamento al territorio e attenzione alle problematiche del contesto in cui si vive)».

Il curriculum perfetto è quello della “mamma/casalinga”
Senza neppure esserne consapevoli, le “casalinghe” di oggi sono in possesso di molte competenze trasversali e attitudini (o “soft skills”) ricercatissime nel mondo del lavoro, che le renderebbero appetibili per molti ruoli dirigenziali. «Se fosse riconosciuta ufficialmente, la loro professione sarebbe tra le più difficili, prestigiose e meglio retribuite». Paradossalmente però, in un’epoca in cui l’affermazione lavorativa è vista come fondamentale strumento di rivendicazione della dignità femminile e della parità tra i generi, «la definizione di “casalinga” suona come anacronistica e disonorevole, al punto che molte donne si vergognano di vedersela attribuire e preferiscono considerarsi “disoccupate”».

Home Manager: una provocazione su cui riflettere
Giovanati spiega come attualmente «non esiste una terminologia aggiornata e appropriata per indicare le donne che hanno scelto di rivestire un ruolo esclusivamente familiare». L’etichetta di “casalinga” non basta più a risolvere la complessità di un ruolo di cura equiparabile a un lavoro a tempo pieno. «E poiché psicologicamente ciò che non è definito o nominabile è come se non esistesse, non può neppure essere tutelato» prosegue l’Assessore. Dunque in un’ottica di valorizzazione del ruolo sociale della donna, sostituire il titolo di “casalinga” con quello di “family manager” «è più rivoluzionario di qualsiasi declinazione al femminile di titoli tradizionalmente riservati agli uomini».

Una professione da rivalutare anche in termini economici
Secondo i dati Istat il lavoro di una mamma a tempo pieno vale circa 83 mila euro (netti) all’anno, ovvero 7 mila euro al mese. Per calcolare la cifra sono stati considerati il numero di ore mensili dedicate a ciascuna attività domestica e i compensi relativi alle professioni corrispondenti: basandosi su una media di 56 ore da cuoche, 32 da autiste, 28 da psicologhe e 52 da maestre di ripetizioni, la somma risulta superiore allo stipendio di un general manager (al netto di tredicesima, benefits, malattie, ferie, ecc).
Anche senza tornare sulla dibattuta questione dello “stipendio per le casalinghe”, «un modo per ridare dignità e sicurezza alle donne che svolgono un lavoro esclusivamente domestico potrebbe essere proprio quello di riconoscere ufficialmente le loro competenze e attitudini, in modo da renderle rivendicabili ed eventualmente spendibili in una dimensione di imprenditorialità extradomestica». Insomma: se l’abito non fa il monaco, il titolo può rifare una donna…

Mamme/casalinghe in politica: quali vantaggi?
Basandosi sulla sua esperienza personale, l’Assessore Giovanati spiega come trovandosi nel ruolo di mamma/casalinga anziché di donna in carriera, cambi anche completamente il modo di vedere e interagire con il territorio e i suoi abitanti: «si comincia a trascorrere più tempo negli spazi comuni del quartiere (come il parco giochi), si scoprono le reti sociali e solidali invisibili (come quella le mamme che si aiutano a vicenda nella gestione dei figli) e ci si rende conto degli ostacoli e dei disservizi che rendono difficoltose alcune attività quotidiane un tempo date per scontate (come prendere i mezzi pubblici con il passaggino)».
Perciò l’accesso delle “family manager” in politica sarebbe vantaggioso: «non solo garantirebbe una maggiore attenzione al territorio e alle reali esigenze dei suoi abitanti, ma favorirebbe l’accesso delle donne a molte professioni, anche ripensandone orari e ritmi in funzione delle esigenze di quante hanno figli piccoli di cui occuparsi».