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Chi è Deborah Giovanati, candidata in Lombardia. Una mamma, cioè un uragano

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La gavetta in municipio, la “testa dura”, il confronto con il panettiere e la pasionaria lgbt. E poi la malattia e quell’idea che «la politica è innanzitutto limite»

Articolo pubblicato su Tempi il 16 febbraio 2018 scritto da Caternia Giojelli

Davvero il mondo è retto dalle sottane, persino gli uomini, diceva Chesterton, giudici, sacerdoti e re, le indossano quando devono governare. E a proposito di governo, Deborah Giovanati – candidata Nci alle regionali a Milano – sembra sbucata proprio da una pagina chestertoniana. Cremonese di nascita, milanese di adozione, è una di quelle donne che immagini tenere eternamente in equilibrio la barca sedendosi dalla parte del più piccolo, debole, leggero, sfigato. Giovanati è insomma una bilanciatrice, che a pensarci bene è davvero un mestiere generoso, pericoloso e romantico: a questo devono aver pensato nella mini ex Stalingrado di Milano, altrimenti conosciuta come Municipio 9, quando la votarono in massa alle amministrative del 2016. Un pieno di voti così: 634, la più votata della coalizione in tutte le zone della città, nessuno fece meglio di lei, la mamma di Niguarda che correva come una matta con borse della spesa, zaini di scuola, che incontrava genitori, vecchietti, disabili, che incontravi a scuola, al parco, al mercato, sempre con un fagotto spernacchiante e curioso appresso – perché non sia mai che avesse lasciato il lavoro in quello studio legale di quell’importante società per crescere i suoi tre figli e diventare poi una monopolizzanonni, che di nipotini ne hanno tanti.

La lista era Milano Popolare, eppure la sciura dal panettiere glielo aveva detto, «mbé mi non voterei il Parisi, mi voterei il Sala ma il Sala mica lo vedo qui in giro. Lei sì, la vedo tutti i giorni, varda quela tosa cunt i so bej fioeu». Così, coi voti della gente-gente di quartiere che ancora conserva l’antica saggezza della simpatia per l’incontro di un volto sorridente e spettinato col passeggino incastrato tra le buche dei labirinti di città, Giovanati si era ritrovata assessore all’educazione, istruzione, politiche sociali, salute e casa, nonché delegata alle pari opportunità. «È stato un amico in consiglio di zona 9 a propormi la candidatura. Ero la sua peggior stalker, lo perseguitavo continuamente con segnalazioni di casi di famiglie che versavano in condizioni difficili, ascoltavo e lo stremavo di storie provenienti dalle case popolari, da scuole e strutture fatiscenti, lo avvisavo che era pieno di voragini a ridosso dei binari della linea del tram, che non esistevano parcheggi liberi, tutto. Insomma, quando ci sono state le amministrative mi ha chiamato quasi sollevato: “Debbie, qui c’è spazio per te”». In quello spazio Giovanati infila il meglio della versatilità e dell’universalità del mestiere di giurista e di mamma: piedi a terra, il portamento di chi non nasce specialista del fare le cose ma che accetta di farle, e diventa brava, molto brava a dare più del meglio, cioè il tutto di sé.

Capiamoci: Giovanati rialloca sì il suo budget secondo la smarrita logica del buon senso e del bisogno. Rifornisce le 39 scuole dell’infanzia statali, paritarie comunali e private del territorio di materiali didattici altrimenti a carico di famiglie, i centri diurni per disabili di strumenti per fare attività fisica e laboratori creativi; implementa il sostegno allo sportello dedicato alle persone malate di Alzheimer e loro familiari stipulato in convenzione con l’Asst Niguarda; dà il via al bando annuale “Il pane dei bisognosi” per aumentare le attività di associazioni, cooperative, circoli e parrocchie nel contrasto alla povertà alimentare che oggi aiutano 275 famiglie e 255 persone singole. Ma soprattutto capisce che «la politica è innanzitutto limite: ed è bello che sia così. Non potrà mai risolvere sino in fondo i problemi sempre nuovi delle persone, non è uno strumento perfetto, ha vista breve se concepita come battaglia ideologica. Ma può innescare la capacità delle forze sociali che operano da protagoniste nella risposta ai bisogni espressi, comunicando una umanità che le istituzioni in quanto tali non potranno mai comunicare, e deve arrestarsi in ambiti precisi, riconoscendo per esempio la precedenza alla libertà di educazione dei genitori nell’ambito della scuola».

A novembre in due scuole medie del territorio, sotto il pretesto di corsi per il contrasto al bullismo si svolgono lezioni sulle variabili biologiche e orientamento sessuale. Li tengono “esperti volontari del gruppo Scuola dell’Arcigay”, molti genitori non ne sono a conoscenza. Giovanati alza gli scudi. Attraverso un’apposita delibera subordina l’elargizione di eventuali contributi allo strumento del consenso informato, si ritrova così una delegazione di Anpi e Sinistra italiana a protestare in Municipio accusandola di violare una serie di articoli della Costituzione. Giovanati ascolta, risponde che la libertà di educazione dei genitori  è un diritto costituzionalmente garantito e come tale va preservato sempre e comunque, in ogni ambito,«non vi è mai un’interruzione della responsabilità educativa, anche quando i figli sono in classe. Non si demanda mai, perché fra scuola e famiglia deve esserci sempre un’alleanza. Questa può consistere anche nel fatto che i genitori siano posti nelle condizioni di sapere in modo preciso cosa viene detto al proprio figlio o figlia». Alla sera riceve un messaggio di una madre presente alla protesta e dall’altra parte delle barricate: «Mi hanno detto peste e corna di lei. Ho trovato invece una persona che mi ha ascoltato e ha detto cose di buon senso. Sono colpita».

Capiamoci, quindi: Giovanati fa la politica, ma diventa brava a dare più del meglio, cioè il tutto di sé. Perché altro modo di vivere e fare politica, ma anche la mamma, la moglie, la “testona” tra gli amici e quella che si intesta peste e corna dai nemici, non lo conosce proprio. Tutto grazie a qualcosa che è accaduto a Natale nel 2014. Il piccolino spernacchiante del passeggino aveva allora solo tre mesi e tutti quei formicolii lei li aveva attribuiti alla fisiologica stanchezza da “tre figli piccoli e tantissimo da fare”. Poi, il giorno di Santo Stefano, è a Cremona dai suoi genitori: si sveglia e non ha più sensibilità alla parte sinistra del torace e del viso. A suo marito Paolo la cosa non piace per niente e subito la porta a Milano a fare una tac dall’esito negativo: i medici consigliano tuttavia una visita neurologica. La mamma di un’amica riceve subito Deborah, «tagliamo la testa al toro e facciamo una risonanza». Poco dopo ha già chiamato il San Raffaele per una visita dal primario: «“Provi a saltare sulle gambe”, mi disse e io pensai “che banalità”. Poi ci provai. La gamba destra non saltava. Non si alzava di un centimetro”», racconta Giovanati.

«Mi dissero che andavo ricoverata per esami subito. Chiesi e ottenni dieci giorni di proroga per svezzare il mio bambino. E il 13 febbraio fui ricoverata. Lo ricordo bene perché quel giorno facevamo cinque anni di matrimonio. Appena entrai in ospedale fui assalita da un caldo tropicale, “Toh, senti qui, Paolo, tu che avevi promesso di riportarmi in viaggio di nozze alle Maldive”». In quei giorni di ricovero Giovanati scappa spesso nella cappellina del San Raffaele, e fissa la scritta sul muro “Compio nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo”. Va bene, dice a quel Cristo, «ho capito che ho qualcosa di serio, ma tu mi hai insegnato che nulla di quello che accade mi toglie qualcosa, è un meno per me. Non immaginavo di fare la mamma a tempo pieno, io arrembante studentessa di Giurisprudenza venuta a Milano da Cremona. Non immaginavo di lasciare tutto per i bambini. E sono contenta, nulla è venuto meno e ho avuto tanto, tantissimo. Nulla viene meno, lascia che nulla venga meno anche alla mia famiglia, aiutami a fare della mia vita una testimonianza». Poco dopo arriva la diagnosi: sclerosi multipla. E poco dopo la richiesta di candidarsi alle comunali, e quella frase di Paolo, «vedi? È successo esattamente quello che hai chiesto. Non ti è stato tolto, ma dato qualcosa: e poi a te queste cose piacciono un sacco».

Giovanati prende le medicine, prende il passeggino, inizia la sua “normalissima” avventura, premiatissima alle amministrative. Sì, è la prima fase della malattia e lei ha imparato anche a prendersi qualche momento di riposo, a volte zoppica un po’, si sveglia come se avesse fatto il gitone in montagna, uno dei tanti fatti in vacanza con gli amici di Cl. Ma è più testona, trafelata e amata di prima. E siccome nulla viene meno, qualche mese fa gli amici le hanno proposto di proseguire l’avventura correndo alle regionali per Noi con l’Italia. «Non vengo fuori dal nulla, ma da un gruppo di giovani “politici”, ci sono Matteo Forte, Filippo Boscagli, anche lui in corsa a Lecco: sappiamo che da soli non si va da nessuna parte e facciamo rete, ci troviamo per fare formazione. Io cerco di metterci del mio con la mia spiccata attenzione al mondo della disabilità, delle famiglie e della scuola, sempre partendo dalle esigenze di chi le vive e vi opera, dalla mia sciura del panettiere, gli studenti universitari che sto incontrando a centinaia, a cui tutti intestano battaglie lontanissime da quello che chiedono veramente. Sì certo, uno potrebbe benissimo disinteressarsi alla politica, ma potrei io disinteressarmi della mia famiglia, dei miei figli, dei miei amici?».

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