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Autore: Deborah Giovanati

“Nuova generazione”, uscire dall’isolamento per tornare in piazza

“Volevo ringraziarti davvero tanto per avermi invitato a partecipare alla giornata di ieri”, scrive Federico, già candidato a consigliere del proprio Municipio in occasione delle ultime elezioni amministrative, riferendosi all’ultima mezza giornata di seminario organizzata il 18 novembre scorso dall’associazione Nuova Generazione. “Mi è servita molto, soprattutto a ravvivare quella passione, mai spenta, di fare Politica (con la maiuscola). In pratica non conoscevo nessuno, ma mi sono sentito subito accolto in questa compagnia”. Dello stesso tenore il messaggio di Andrea, eletto a Milano con una lista civica: “Grazie per ieri, la parte che ho seguito è stata interessantissima, una vera scoperta per me!”. Così anche Francesco, un semplice appassionato: “che bella giornata grazie mille! Mi piacerebbe parlarne perché i contenuti di tutti i relatori sono stati di altissimo livello, è un grande patrimonio”. Di fronte a queste reazioni ci si sente confortati, poiché l’esito di un generale disinteresse per la politica rischia di essere, per chi come chi scrive è impegnato nell’amministrazione del proprio territorio, quello di concepirsi soli all’interno delle istituzioni. Ma l’isolamento è il contrario della politica, che ha invece molto a che fare con l’essere sociale, l’essere originariamente aperto all’altro proprio della natura umana.

In effetti proprio da qui è nata l’idea di due appuntamenti cui invitare innanzitutto quelli con cui ci si è ritrovati fianco a fianco in tante campagne elettorali; quelli con cui per svariate ragioni ci siamo trovati insieme a occuparci di politica. Vuoi per i comuni impegni amministrativi o, magari, anche solo per un confronto su questioni urgenti che tutt’ora interrogano il dibattito attuale. È nata così l’idea di organizzare due appuntamenti invitando tutti a stare su un terreno che fino alla generazione dei nostri genitori, forse, pretendeva di “occupare” ideologicamente ogni aspetto della vita, mentre oggi — al contrario — sembra essere un discorso per pochi “addetti” e di cui si può, volendo, anche fare a meno. Tutto sembra concorrere a frammentare i processi decisionali, ad erodere la responsabilità di quanti fanno ancora politica e ad affermare l’inevitabile superamento di quest’ultima: i new media e la disintermediazione, i social che in modo sempre più rapido e continuativo sono in grado di riportare ed amplificare un sentiment diffuso ancorché talvolta irrazionale, ma pure l’affermazione dei cosiddetti “nuovi diritti” per via giurisdizionale.

Noi siamo invece tra coloro che pensano che ci sarà sempre bisogno di persone che si assumano una responsabilità pubblica per il bene comune, anche in un mondo in cui tenderanno a dominare soluzioni “tecniche” e il mito della rete a superare la democrazia rappresentativa. Sicuramente tutto ciò impone di cambiare modalità e forme di un impegno politico, ma certo non cancellandolo e sostituendolo. Proprio per questo abbiamo preparato i due momenti seminariali citati per aiutare noi e altri amici ad un giudizio culturale su alcune delle sfide epocali che, come cittadini e come generazione, stiamo vivendo: i flussi migratori e la trasformazione del mercato del lavoro. Si tratta di due temi che domineranno sempre di più i prossimi decenni, per i quali occorrono conoscenza, competenza e che non possono essere risolti a colpi di post o tweet. Stanno cambiando i paradigmi su cui si è retta la convivenza negli ultimi secoli e su cui è necessario dedicare tempo e sviluppare un pensiero nuovo: basta accedere ai servizi garantiti da un welfare universalistico per potersi dire cittadini di uno Stato? La cittadinanza è un diritto o piuttosto uno status che comporta un complesso di connessi diritti-doveri? Cosa implica possedere contemporaneamente due cittadinanze e a quale sistema di valori e significati ci si riconoscerà ultimamente appartenenti? Idem per quel che riguarda il lavoro che cambia: vale ancora la netta divisione in cui si è sviluppato il percorso professionale dei nostri genitori e per la quale lo Stato si occupava di istruire i giovani e garantire le pensioni, mentre il mercato doveva offrire quarant’anni di stabile occupazione e retribuzione economica? E poi: in un mondo in cui il percorso lavorativo è sempre più frammentato, da cosa è caratterizzata la precarietà? Dalla tipologia contrattuale o dall’assenza di politiche attive in grado di muovere una pluralità di soggetti pubblici e privati impegnati a sostenere la continua occupabilità della persona? Ha senso immaginare interventi normativi che abbiano ancora come unico terminale il rapporto subordinato tra datore e dipendente quando la grande trasformazione digitale sta convertendo molti in imprenditori di sé stessi?

Queste ed altre questioni emerse nei due appuntamenti, che abbiamo promosso come Nuova Generazione, ci hanno convinti ulteriormente di una cosa: più le sfide del nostro tempo alzano il tiro, tanto più saranno indispensabili intelligenze in grado di pensare la vita in comune e, sulla base di intenti ideali che si misurino con i bisogni delle persone e col loro consenso, di trovare la necessaria legittimazione per occuparsi della res publica. Invece di omogenizzare concezioni e sensibilità diverse, come inevitabilmente accadrebbe accettando di limitare la visuale ad un unico scenario definitivo — fatalisticamente predetto da un algoritmo o imposto per sentenza da una corte —, il metodo della competizione politica porta con sé la possibilità di ampliare i nostri orizzonti e renderci consapevoli che non esistono soluzioni giuste a priori, quanto uno spettro assai vasto di opzioni che chiedono solo di essere discusse, vagliate ed eventualmente sanzionate.

Prima che promuovere le posizioni di una parte, quindi, il nostro tentativo di approfondimento vuole inserirsi nel solco di quanto affermato da papa Francesco durante la sua visita pastorale a Cesena: “Un sano realismo sa che anche la migliore classe dirigente non può risolvere in un baleno tutte le questioni. Per rendersene conto basta provare ad agire di persona invece di limitarsi ad osservare e criticare dal balcone l’operato degli altri. […]. Vorrei dire a voi e a tutti: riscoprite anche per l’oggi il valore di questa dimensione essenziale della convivenza civile e date il vostro contributo, pronti a fare prevalere il bene del tutto su quello di una parte; pronti a riconoscere che ogni idea va verificata e rimodellata nel confronto con la realtà; pronti a riconoscere che è fondamentale avviare iniziative suscitando ampie collaborazioni più che puntare all’occupazione di posti. Siate esigenti con voi stessi e con gli altri, sapendo che l’impegno coscienzioso preceduto da un’idonea preparazione darà il suo frutto e farà crescere il bene e persino la felicità delle persone”.

Filippo Boscagli, consigliere comunale a Lecco
Matteo Forte, consigliere comunale a Milano
Deborah Giovanati, assessore del Municipio 9 a Milano
Lorenzo Margiotta, associazione Nuova Generazione

https://www.ilsussidiario.net/news/politica/2017/11/26/lettera-nuova-generazione-uscire-dall-isolamento-per-tornare-in-piazza/794419/

Abusivi nelle scuole fantasma. “Il Comune ci dia una mano”

di Paola Fucilieri

Palazzo Marino al momento non si è mosso e chissà se mai (o quando) lo farà. Così scende in campo il Municipio, per insistere sulla bonifica, il riutilizzo, la riqualificazione e il ripristino di due edifici scolastici tra il Dergano e Bruzzano attualmente vuoti.

Un qualunque intervento, ma un intervento: se qualcosa si deve fare si faccia insomma. Perché la presenza di stabili «fantasma» porta occupazioni abusive e degrado, piaghe con cui le periferie della città si ritrovano sempre più spesso a fare i conti.

Deborah Giovanati, 34enne assessore alla Scuola, all’Educazione, alle Politiche sociali e alla Salute del Municipio 9 per «Milano Popolare» denuncia gli interventi promessi ma mai realizzati nella ex scuola media di via Benigno Crespi 40. L’istituto «Pavoni», chiuso in attesa della bonifica della struttura per l’amianto, mentre le otto classi venivano trasferite nella stessa via ma al civico 1. Ma sotto la lente d’ingrandimento dei residenti preoccupati c’è anche l’ex liceo classico «Omero» (in 50 anni 4mila studenti diplomati) di via del Volga, una scuola «storica» per il quartiere e accorpata due mesi fa al liceo scientifico Russel di via Gatti 16, a Niguarda a causa del calo delle iscrizioni e di problemi strutturali dell’edificio.

«Nell’ex scuola Pavoni, dopo nostri numerosi solleciti, sono state già sgomberate a luglio un centinaio di stranieri a cui si aggiungono la ventina di persone allontanate tre settimane fa e tra le quali c’era un malato di scabbia – spiega Giovanati -. La struttura è piena di finestre e non c’è voluto niente a rompere i vetri e ad entrarci dopo che il Comune non ha stanziato un euro per riqualificarla ed evitare l’abbandono e il degrado».

«Durante alcuni lavori di rifacimento della facciata per i quali senza prima procedere alle verifiche del caso, erano già stati spesi un milione e mezzo di euro – sottolinea Giovanati – era stato trovato dell’amianto. Visto che il costo complessivo della bonifica e del ripristino della struttura è stato valutato circa 8 milioni di euro perché allora non buttare giù l’edificio esistente e costruirne uno nuovo, magari più piccolo, come abbiamo proposto all’Amministrazione comunale come Municipio 9? Abbandonarlo non è una soluzione..». «Dopo la chiusura del liceo Omero – conclude l’assessore – abbiamo chiesto subito un incontro con l’assessore comunale ai Lavori pubblici e alla Casa Gabriele Rabaiotti per non lasciare l’immobile vuoto. Ci spiegarono di una sorta di rimpallo tra Comune e Città Metropolitana: quest’ultima non avrebbe ancora restituito lo stabile a Palazzo Marino. Noi proponevamo un utilizzo temporaneo della palestra da parte di alcune associazioni per non abbandonare l’ex istituto scolastico al degrado anche perché la scomparsa del liceo ha impoverito, in tutti i sensi la zona…Ma niente, il Comune non ci ascolta. Perché questo rimpallo dura così tanto? Intanto i vetri rotti indicano che anche lì si sono accampati degli abusivi».

https://www.ilgiornale.it/news/milano/abusivi-nelle-scuole-fantasma-comune-ci-dia-mano-1459234.html

Il centro sociale si prende la scuola. C’è anche la consulente del Comune

di Alberto Giannoni

Un film già visto. Il «RiMake», appena sgomberato da una banca, si prende una scuola di Bruzzano. I compagni del collettivo cacciato mercoledì mattina dalla ex Bnl di via Astesani ad Affori, hanno rioccupato la sera stessa l’ex liceo classico Omero di via del Volga 4, che era ridotto a ricovero di clochard e disperati, tanto da indurre il Municipio a rivolgersi – inascoltato – al Comune, solo pochi mesi fa.

«È gravissimo quello che sta succedendo nei locali dell’ex liceo Omero – attacca la vicepresidente di Zona 9 Deborah Giovanati – È da oltre un anno che lavoriamo perché il Comune ci dia lo spazio. Sapevano che quei locali abbandonati sarebbero stati a rischio occupazione.

Il passaggio da uno stabile all’altro non è una novità. Anzi qualcuno, nel quartiere, avanza il sospetto che queste peregrinazioni siano «telecomandate». È successo altrove e sembra normale, a Milano. «La loro arroganza è il risultato delle politiche permissive della giunta Sala» attacca Gianluca Comazzi, capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale, chiedendo un nuovo sgombero. «Va dato subito un segnale – avverte anche la consigliera Silvia Sardone – affinché sia chiaro che l’abusivismo portato avanti da questi delinquenti non può essere accettato». Non solo, il centrodestra chiede sgomberi in tutta la città. E in tutta la Zona. «La legalità deve essere sempre e in ogni luogo» spiega l’assessore alla Sicurezza Andrea Pellegrini. Si riferisce intanto all’ex liceo: «Il Comune proprietario della struttura – dice – ha il dovere morale di liberare immediatamente la ex scuola e metterla immediatamente in sicurezza. Le modalità di assegnazioni degli spazi pubblici non possono concepire le occupazioni abusive ma avvisi pubblici o bandi rivolti a tutti le associazioni presenti sul territorio». Ma si riferisce anche agli altre occupazioni abusive l’assessore leghista: «Oltre a questo spazio – ricorda – sul nostro municipio sono ancora occupati abusivamente gli stabili di via Cozzi 1, via Modignani 66 – via Germana de Stael e via Alfieri 1. Abbiamo sollecitato le richieste di sgombero già inviate da tempo a Questore e Prefetto».

Giovanati chiama in causa il Pd e una sua dirigente locale: «Spero che il Pd del Municipio 9 voglia condannare fermamente l’occupazione – dice – nonostante la presenza di una loro esponente, ex presidente della commissione demanio ed ex referente per la sicurezza in Municipio 9 dell’assessore Rozza».

Si tratta di Simona Fregoni. «Era una collaboratrice a titolo gratuito- precisa l’ormai ex assessore Rozza, adesso consigliera regionale – Ora è una libera cittadina e non deve certo rendere conto a me». «Il mio incarico a titolo gratuito è terminato il primo marzo – spiega Fregoni – e non ho occupato la scuola. Da politica non mi disinteresso certo a ciò che avviene. E non credo che la legalità sia un valore, semmai uno strumento, lo dico al centrodestra che fa polemiche strumentali». «Basta ipocrisia – prosegue – in tanti Paesi europei occupare non è reato. Io non ho occupato ma frequentavo il RiMake, ci sono stata diverse volte a mangiare, considero positiva quell’esperienza e penso che quei progetti non si debbano perdere e non si perderanno».

 

https://www.ilgiornale.it/news/milano/centro-sociale-si-prende-scuola-c-anche-consulente-comune-1535243.html

Periferie, le Zone chiamano. Le risposte? Silenzio e bugie

di Alberto Giannoni

Pareri disattesi, segnalazioni ignorate, messaggi senza risposta. Il Comune non mantiene la promessa di occuparsi davvero delle periferie, snobba i Municipi e viene il sospetto che lo faccia anche per il colore politico che hannoo assunto da due anni e mezzo a questa a parte: 5 su 5 sono infatti di centrodestra.

Tre proteste simili si sono levate ieri dalle Zone 3 e 9, a proposito di problemi ignorati o sottovalutati: decoro urbano, edilizia scolastica, traffico. Il Comune ha alzato un vero e proprio muro verso le Zone. Lo ripetono in molti ormai nelle giunte municipali. E questo muro non riguarda solo il tema della sicurezza.

In Zona 3 la questione riguarda Area B, la zona a traffico limitato per le auto inquinanti. E riguarda l’inclusione in Area B del quartiere Feltre. A ottobre il Comune ha inviato al Municipio 3 la richiesta di parere sull’inversione di marcia di via Passo Rolle. «Ci siamo chiesti perché – racconta il capogruppo di Fi Marco Cagnolati – poi è venuto fuori che era propedeutica all’attivazione dell’aria B, che avrebbe come confine il quartiere Fetrle e via Passo Rolle come via di fuga da viale Turchia e via Rombon». Maggioranza e opposizione hanno dato parere contrario all’inversione e parere contrario anche all’Area B con quei confini. Dopo un mese sono iniziati ad apparire cartelli da cui si evinceva come il progetto proprio quello temuto». Cagnolati ha scritto un documento o chiedendone le rimozione.

Ma anche la maggioranza ha proposto valutazioni ulteriori: ripensamenti. «In seguito – racconta ancora – è arrivata una lettera di Granelli, che ha detto in pratica: non preoccupatevi. Invece sono stati installati nuovi cartelli e sono partiti lavori per il doppio senso di marcia». Granelli intanto ha chiesto un incontro coi cittadini il 18 febbraio. «I residenti sono preoccupati – spiega Cagnolati – perché si scaricherebbe su quella zona tutto il traffico e il parcheggio selvaggio delle auto di coloro che non vogliono o non possono entrare». «Questi timori non sono campati per aria. Noi abbiamo proposto di usare come via di fuga una rotonda poco distante, ma se l’assessore dovesse andare avanti sarebbe letteralmente una presa in giro. Ci chiedono un parere, lo diamo, lo ignorano, ci rassicurano ma vanno avanti comunque. Mi chiedo che valore abbia la sua parola ma soprattutto a cosa servano i Municipi. Se devono ignorarli così, allora li chiudano se non servono a niente». Ed è un dubbio che ha colto anche l’assessore alla Scuola del Municipio 9, Deborah Giovanati («Milano popolare»), che nonostante tutti gli sforzi non riesce a ottenere dal Comune nemmeno la sostituzione di un archetto dissuasore rotto. E ha penato per un tombino aperto. Ha scritto agli uffici, ricevendo come risposta un sostanziale diniego, dal momento che – giustamente – occorre procedere per via gerarchica. Avendolo fatto, si è vista dare questo suggerimento: si rivolga al servizio di segnalazioni. Quello dei cittadini. Ma allora a che serve la Zona? «È possibile ed è normale che siamo nelle condizioni di non dare alcuna risposta ai cittadini?» chiede Giovanati, che si è rivolta direttamente all’assessore, senza avere risposte di alcun tipo. Eppure gli assessorati comunali hanno uno staff, riflette qualcuno. Quelli di Zona no, fanno tutto da soli, ma in Comune lo hanno. Comunque, la stessa cosa è accaduta sulle barriere architettoniche, o sui negozi sfitti, o su una scuola da pulire. Isolamento totale. «Mi sono chiesta se questo atteggiamento non dipenda dall’orientamento politico dei Municipi, diverso dal Comune. Era una ipotesi, dopo due anni e mezzo sta diventando certezza. Non vedo altre ragioni». Sempre in Zona 9, solleva un problema analogo Enrico Turato, capogruppo di Fratelli d’Italia a proposito di via Chiasserini, per la quale ha chiesto, con una delibera, una nuova viabilità «prima che qualcuno si faccia male». Ma – attacca – «Granelli pensa solo alla nuova gabella Area B e del resto della città se ne frega. Come per le buche delle strade. Non ha mai risolto il problema è non risponde. Nulla di fatto in pratica. Un comportamento sconsiderato, molto maleducato nel rispetto dei cittadini che amministra e soprattutto nel rispetto dei rapporti tra istituzioni». «Le periferie hanno gli stessi diritti dei cittadini che vivono in centro» dice Turato, che parla di una Milano «abbandonata a se stessa» e «presa in giro».

 

https://www.ilgiornale.it/news/milano/periferie-zone-chiamano-risposte-silenzio-e-bugie-1641071.html

 

La vera ideologia di chi ha sottratto quei bambini alle famiglie

Caro direttore,
prendiamo spunto dal dibattito che si è aperto sulle pagine del Sussidiario per esprimere alcune osservazioni sulla vicenda di Bibbiano che ci interessano in qualità di genitori, sposi e pure amministratori locali. Non c’è dubbio che sia in corso una strumentalizzazione da parte di alcune forze politiche e, addirittura, di pezzi di istituzioni contro altre. Non nascondiamo che nella semplificazione mediatica possa finire nel tritacarne una realtà positiva come l’affido e l’esperienza di gratuità di tante famiglie che si aprono all’accoglienza di chi soffre e che le pubbliche amministrazioni non valorizzano e incentivano come dovrebbero. Conosciamo anche noi tanti casi di straordinaria carità che commuove tutti quelli che la intercettano. Conosciamo anche la grande professionalità degli assistenti sociali dei nostri territori, che hanno una profonda consapevolezza alla base del loro delicatissimo lavoro: la famiglia di origine, con tutti i suoi limiti (economici, sociali, comportamentali…), ha un valore oggettivo che nemmeno l’estrema ratio dell’allontanamento dei figli può e deve superare. Un bambino ha un legame naturale e innegabile con chi lo ha messo al mondo di cui non si può non tener conto persino nell’affidamento e collocamento presso terzi. 

Tuttavia, proprio a difesa di queste esperienze di cui sono costellate tante comunità locali in cui viviamo ed operiamo, non possiamo non scorgere delle distanze incolmabili con quanto emerso dalle vicende di Bibbiano e che non si possono tacere. Al di là delle vicissitudini giudiziarie, sulle quali non possiamo e non vogliamo addentrarci – tenuto conto che in questa sventurata nazione le roboanti inchieste annunciate a suon di prime pagine e aperture di tg spesso si sono sgonfiate nel tempo, lasciando solo il fango gettato sugli indagati – c’è un tema politico che viene prima.

Basterebbe leggere un articolo apparso su La Stampa già il 31 luglio 2016 per comprendere che, in un’Italia con il più basso tasso di affidi eterofamiliari a livello comunitario, l’esperimento degli otto comuni della Val d’Enza è un’anomalia più che un esempio: su una popolazione locale che conta 12mila minorenni, si vantavano 1.900 in carico ai servizi. Stiamo parlando di quasi il 16%. Il che vuol dire o che tutti i “mostri” si concentravano nelle mura domestiche di quel fazzoletto di terra o che c’era una visione complessiva ideologica a monte. Proseguendo nella lettura di quell’articolo alcuni elementi sembrerebbero andare nella seconda direzione. “In questo Paese è ancora troppo forte l’idea della famiglia patriarcale padrona dei figli” dichiarava Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali del consorzio dei comuni emiliani.

Su Youtube è anche visibile un’intervista alla stessa Anghinolfi in materia di affido a coppie dello stesso sesso. In essa la funzionaria dichiara espressamente che “l’idea di concentrarsi sullo stigma dell’omofobia è velenoso di per sé. Quindi, per quanto ci riguarda, per quel che sono le famiglie oggi e i genitori oggi, capita molto spesso che ci sono genitori di figli che non sono propri, perché semmai sono del secondo o terzo matrimonio. Può capitare che ci sono coppie omosessuali che si sono formate nel tempo, che hanno già figli e si sono messe in coppia. Sappiamo che ci sono studi approfonditi […] che vanno oltre al tema dell’identità di genere nella relazione genitoriale, dove si è visto che se le persone sono responsabili e si amano, hanno dei rapporti d’amore con i loro partner e con i loro figli, questo è quello che conta”.

Della scientificità di queste affermazioni non solo dubitiamo fortemente, ma contestiamo l’ideologia che ha guidato almeno politicamente i responsabili dei servizi dei comuni della Val d’Enza. Contestiamo cioè la volontà tradotta in atti amministrativi di screditare quell’evidenza originaria per cui nessuno si autogenera. Per generare (e per educare) alla vita non bastano i buoni sentimenti. Occorre innanzitutto una differenza: questo è vero persino nel caso di fecondazione artificiale, dove si necessita di gameti maschili e femminili. Che la differenza sessuale, la differenza di ruolo e di vocazione tra un padre e una madre, dentro un rapporto stabile nel tempo, pure al lordo di eccezioni sempre possibili, siano elementi superflui per la generazione di un adulto – se non addirittura dannosi, come adombrerebbero le posizioni succitate – è un qualcosa di discutibile alla luce dell’esperienza umana elementare di chiunque. 

Temiamo che per la smania di prendere le distanze dai modi sguaiati e molto spesso inopportuni delle forze al governo del Paese, si cada facilmente nel gioco dell’alternativa unica e si alimenti quella polarizzazione mediatica che stritola innanzitutto i più deboli. In questo caso i bambini che a torto o a ragione (questo sì, lo stabilirà la magistratura!) sono stati sottratti alle loro famiglie.

Filippo Boscagli, consigliere comunale a Lecco
Matteo Forte, consigliere comunale a Milano
Deborah Giovanati, assessore al Municipio 9 di Milano
Marco Lezzi, segretario associazione Nuova Generazione
Lorenzo Margiotta, presidente associazione Nuova Generazione

 

https://www.ilsussidiario.net/news/caso-bibbiano-quelle-evidenze-originali-che-danno-fastidio-al-pensiero-unico/1909015/

Perchè il governo vuole togliere la riabilitazione?

Caro direttore, tre giorni fa ho ricevuto una notizia molto grave. Vorrei poterla condividere con tutti voi. Il governo ha deciso di fare un grande passo indietro nel trattamento della Sclerosi Multipla. È una scelta grave, che impatterà sulla vita di migliaia delle 118.000 persone che in Italia soffrono di questa patologia. Tra cui la mia, una delle tante mamme che lottano contro questo male.

Le proposte, formulate da un gruppo tecnico ad hoc presso il Ministero, riportano in un primo documento l’esclusione delle persone con sclerosi multipla dalla fruizione dei ricoveri di alta specialità in neuroriabilitazione, che verrebbe garantito solo per coloro che abbiano avuto almeno 24 ore di coma. In un secondo documento si prevedono ulteriori limitazioni per l’accesso ai ricoveri ordinari per la riabilitazione intensiva, e una serie di difficoltà di accesso alle prestazioni di riabilitazione territoriale, sia ambulatoriale che domiciliare, che non risulterebbero adeguatamente raccordate al percorso complessivo di presa in carico.

Questo cosa significa? La Sclerosi Multipla è una malattia subdola che, spesso improvvisamente, ti toglie un pezzo di vita alla volta. Un giorno cammini, il giorno dopo non riesci più. Un giorno corri. Il giorno dopo i tuoi bambini scappano e tu non li puoi inseguire. La riabilitazione serve a diminuire la gravità delle conseguenze. Ad essere più autonomi. Ad essere più sereni, meno ansiosi. Ritarda sensibilmente il momento che temiamo tutti di più: la perdita dell’autosufficienza.

Autosufficienza significa libertà. La libertà delle persone non può essere un cavillo di bilancio. E se anche volessimo ridurci a considerarla in questo modo, chiediamoci: siamo sicuri che quello che risparmiamo oggi, domani non si rivelerà un danno enorme?

Rischiamo una decisione due volte sbagliata, che ci porterebbe indietro. Con i PDTA (Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali regionali ) approvati sulla sclerosi multipla si era evidenziato in modo chiaro che bisogna garantire alle persone il diritto di accesso ad un appropriato intervento riabilitativo, complessivo, strutturato per le diverse fasi di malattia ed evoluzione della disabilità.

Tutto ciò rischia di riportare indietro la situazione, arrecando un grave danno al mio, al nostro, diritto alla salute, riportando nello sconforto e nella preoccupazione le persone con sclerosi multipla.

La riabilitazione per noi non è un trattamento che si può fare o non fare. E’ una vera e propria cura alla stregua del trattamento farmacologico.

Ho deciso di appoggiare la battaglia di Aism e di metterci la faccia. Lo faccio con forza perché nella certezza di non essere ridotta alla mia malattia, sono altrettanto certa che per vivere al meglio bisogna condurre alcune battaglie, come questa.

La riabilitazione mi fa vivere #difendiamoundiritto.

Deborah Giovanati

 

https://www.tempi.it/perche-il-governo-vuole-togliere-la-riabilitazione-a-118-000-malati-di-sclerosi-multipla/

 

L’ultima terrorista in cattedra Balzerani in tour da scrittrice

https://www.ilgiornale.it/news/politica/lultima-terrorista-cattedra-balzerani-tour-scrittrice-1677191.html

di Alberto Giannoni

C’è aria pesante. E i cattivi maestri tornano in cattedra o si prendono pulpiti immeritati. Così a Milano, in una sala pubblica di un quartiere difficile come Bruzzano, nell’ambito di un ciclo di incontri letterari viene chiamata a presentare il suo libro la ex brigatista Barbara Balzerani, che ha saldato – è vero – il suo debito con la giustizia, ma continua a pontificare in modo insopportabile, e doloroso per le vittime del terrorismo.

E a qualcuno non sta bene. «Un’ex brigatista rossa membro del commando che ha rapito Moro che presenta il suo libro in uno spazio comunale, senza contraddittorio – dice Deborah Giovanati, assessore alla Scuola del Municipio 9 – Questo è un ulteriore schiaffo nei confronti delle vittime dei terroristi rossi. Che cosa dirà ancora? Recentemente ha affermato che fare la vittima è un mestiere. Sono veramente indignata. Il sindaco deve rispondere del grave fatto accaduto nel mio territorio». Fra gli ultimi militanti br a essere arrestati, la «primula rossa» fu condannata a diversi ergastoli, anche per aver fatto parte del commando che prese in ostaggio Aldo Moro in via Fani, dove fu massacrata la scorta del leader dc. Ottenuta la libertà condizionata, non ha mai compiuto un percorso di dissociazione o «pentimento», anche se non rientra nel novero degli irriducibili. Nel 2018, quando ricorrevano i 40 anni dalla strage di via Fani, prima ha ironizzato cinicamente («Chi mi ospita oltre confine per i fasti del quarantennale?») poi con autentico disprezzo ha parlato delle «vittime», lamentando il loro «monopolio». «C’è una figura, la vittima – ha detto – che è diventata un mestiere». «Io non dico che non abbiano diritto a dire la loro, figuriamoci. Ma non ce l’hai solo te il diritto, non è che la storia la puoi fare solo te».

Ma il problema qui è che la storia la fanno loro, mentre le vittime, e i familiari, sono sostanzialmente ridotti al silenzio, o peggio a una sorta di dileggio. «Le dichiarazioni della terrorista Barbara Balzerani mi hanno fatto male – disse allora Lorenzo Conti, figlio dell’ex sindaco di Firenze Lando, ucciso dalle Br nel 1986 – Loro hanno scelto di uccidere, mio padre no di essere ucciso. Io non faccio la vittima di mestiere, lavoro in banca. Questa è diffamazione tesa a screditate noi vittime».

Ora, è chiaro che in uno stato di diritto, che tende alla «rieducazione», nessuno può essere condannato al silenzio perpetuo, e ha pure diritto all’«oblio» sui delitti commessi, ma qui l’unico oblio è quello cui sono condannate le vittime, coi loro cari, mentre i carnefici su quei fatti ci marciano, e ci ricamano sopra, circondati da una strana soggezione, mentre un alone di rispetto preserva i loro presunti «ideali». E così non si comprende la realtà che dovrebbe emergere sul terrorismo, quella di un esercito di invasati al servizio di un’idea criminale. Invece gli (ex) estremisti rossi che sono coccolati, interpellati, a volte gratificati. E un conto è se questo è inserito in un percorso di «riconciliazione», come accaduto per gli incontri fra Agnese Moro da un lato e Franco Bonisoli, o Adriana Faranda, dall’altro, un conto è se al contrario viene fornito un pulpito privilegiato ed esclusivo per la ricostruzione storica, come accaduto un mese fa per un convegno pugliese con Alberto Franceschini o a dicembre con la pergamena Anpi a Renato Curcio, nel Foggiano o 3 anni fa con la stessa Faranda che doveva partecipare a un corso di formazione sulla giustizia riparativa. E sempre a Milano, un altro «ex» si segnala fra i promotori della rabbiosa contestazione contro la Brigata ebraica e contro chiunque manifesti simpatie per Israele: Francesco Emilio Giordano, che ha fatto parte della «Brigata XXVIII marzo» responsabile dell’omicidio di Walter Tobagi.

Porte chiuse per l’ex Br Balzerani

https://www.ilgiornale.it/news/cronache/porte-chiuse-lex-br-balzerani-comune-arezzo-annulla-1708092.html

Non è la prima volta che la Balzerani, elemento di spicco della colonna romana delle Brigate Rosse, viene accolta in uno spazio pubblico. Era già successo a Milano, lo scorso aprile. E Deborah Giovanati, assessore alla scuola del municipio 9, che all’epoca aveva denunciato l’accaduto dalle colonne de Il Giornale, l’aveva definito “un ulteriore schiaffo nei confronti delle vittime dei terroristi rossi”. Anche se lo schiaffo più grande alla memoria delle vittime e ai loro familiari, Sara, lo aveva già assestato pronunciando quella frase (“C’è una figura, la vittima, che è diventato un mestiere”) a pochi giorni dal quarantennale della strage di via Fani.